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TRESIGALLO, IL PAESE DEI SOGNI

5 settembre 2019
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Ad una manciata di chilometri dalla Ferrara di De Chirico prese forma il sogno di Rossoni di realizzare una città utopica che, vista oggi, a settant'anni di distanza, assomiglia ancora ad una fuga dalla realtà.

– Fellini amava Cinecittà, la chiamava la fabbrica dei sogni e girava lì praticamente tutti i suoi film, gli interni ovviamente ma anche e soprattutto gli esterni, tutto ricostruito creando un mondo magico, alla Macondo potremmo dire –

Dopo qualche chilometro sulla statale, imboccata la prima uscita di una rotonda, si ha la sensazione di lasciarsi improvvisamente alle spalle la realtà. Il sole estivo è alto e le ombre quasi inesistenti, nessuna macchina ne tantomeno qualche abitante. Sembra il pueblo di un Western solo che lì, nella piazza, si staglia contro il turchese del cielo un’enorme insegna con la scritta Sogni.

Tra Ferrara e il mare c’era di mezzo una palude, le valli di Comacchio per essere precisi; un’immensa distesa salmastra laddove il Po di Volano si districa verso l’Adriatico; Un posto che, tanto per dare un’idea, fu fatale a Dante che ci si beccò la malaria. Paludi dunque, poi però arrivò l’Ottocento e finalmente, dopo svariati tentativi, la bonifica riuscì. Quelle valli si trasformarono finalmente in fertile campagna e la gente iniziò anche a costruirci dei villaggi o, come nel caso di Tresigallo, quattro casette – di numero – e una chiesa ai lati della strada. Uno di quei posti destinati a dare solo un riparo a chi di giorno lavora nei campi, nulla di più, ma si da il caso che proprio in una di quelle case nel 1884 nacque Edmondo Rossoni, un uomo che ben presto iniziò a sognare qualcosa di diverso.

Rossoni..un nome che non evoca certo ne grandi architetti ne urbanisti e infatti non si tratta di nulla di tutto ciò, ma procediamo con ordine.

Fin da piccolo non si dimostrò mai un ragazzino come tutti gli altri, era determinato, combattivo e indisciplinato qualità che verranno ben presto buone per farne un sindacalista come pochi altri. Un attacca brighe che credeva nello sciopero e nella rivolta per rivendicare i diritti dei lavoratori. Più volte arrestato, e altrettante fuggito – ed è per questo che Pennacchi lo ha paragonato alla famosa anguilla delle valli di Comacchio – tanto che, poco più che ventenne, fu a San Paolo del Brasile, poi a Parigi, e quindi a New York anche lì pronto a dar battaglia per quella che riteneva – e riterrà sempre – una missione: la lotta sindacale. Tornato in Italia dopo un’amnistia si ritroverà ad aderire ben presto al Fascismo. Con Mussolini tuttavia non fu sempre facilissimo – due personalità simili che ovviamente si scontrarono a più riprese – ma Rossoni aveva la stima del Duce che prima lo nominerà membro del Gran Consiglio (avrà di che pentirsene) e poi, nel ‘35, addirittura ministro dell’Agricoltura. Sarà proprio in questo periodo ai vertici del partito che nascerà l’utopia di Tresigallo. Si perché qui non si trattava tanto di fare una città nuova, come quelle che nascevano nelle paludi Pontine bonificate dal genio fascista e progettate dai grandi architetti dell’epoca, quassù, nel ferrarese, Rossoni vuole realizzare il sogno di una città corporativa. Eccola la grande intuizione: non un borgo esclusivamente agricolo ma un vero e proprio polo produttivo che racchiudesse in un unico centro l’intera filiera industriale. Facciamo un esempio. Erano quegli gli anni dell’autarchia, quando cioè i dazi imposti dalla comunità internazionale a seguito dell’invasione dell’Etiopia, avevano drasticamente ridotto l’importazione di materie prime e allora ci si ingegnò, si fece di necessità virtù, e si provò a tirare avanti con quel poco che avevamo qua.
L’alcol ad esempio a Tresigallo si iniziò a produrlo dalla barbabietola da zucchero mentre per il cotone si sperimentò la canapa (si proprio la stessa che oggi i nostalgici del Ventennio vorrebbero messa al bando). Ed ecco che questo borgo era pensato come un prototipo che avrebbe prefigurato il futuro: una cittadina di quindicimila abitanti con una cintura di industrie tutt’attorno nelle quali venivano trasformate le materie prime coltivate nelle campagne. Una cittadina rurale al servizio di un sistema industriale, i cui abitanti sarebbero stati sia agricoltori che operai. Insomma ci fossimo aggirati da queste parti attorno al 1939 avremmo potuto trovare, lungo la circonvallazione che separa dalla campagna, grandi complessi industriali per l’alcol e il cotone ma anche la S.I.A.R.I. -per la trasformazione del latte in burro-, la C.A.L.E.F.O. che lavorava invece la frutta e la verdura, la SNIA Viscosa e – perché no – anche una grande fabbrica per la produzione di macchinari agricoli. Un’intuizione incredibilmente moderna e d’avanguardia, tutta da attribuire Rossoni. Quanto quest’idea fosse suggestiva ce lo dimostra del resto pure Giuseppe Pagano – non certo l’ultimo degli arrivati – che nel 1939 ne seguirà in qualche modo l’approccio immaginando l’E42 come “una città corporativa”. Quel progetto, ricordato e celebrato per la modernità razionalista, fu immediatamente scartato da Piacentini, ma è riemerso dagli archivi della rivista di Casabella (di cui Pagano era direttore) pochi anni fa dimostrandoci come quell’utopia avesse affascinato molti in quegli anni.

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Ma torniamo a Tresigallo, tutto qui dicevamo porta letteralmente la firma di Rossoni. Si perché se è vero che per il progetto della città non troviamo la mano di grandi architetti è assolutamente certo che anche il disegno stesso sia da ascrivere al ministro in persona. Fu lui a decidere di tirar giù il poco che esisteva, sopravviverà solo la chiesa che sarà comunque “mascherata” da una facciata contemporanea, per il resto fu tabula rasa. Se non per la statistica almeno nella sostanza Tresigallo sarà a tutti gli effetti una città di fondazione. Rossoni progetterà tutto nel minimo dettaglio affidando i suoi appunti e i suoi schizzi all’ingegner Frighi, a cui lui stesso aveva provveduto a pagare gli studi universitari, e all’altro protagonista: il macellaio del paese. Avete capito bene, Livio Mariani, amico d’infanzia del ministro e macellaio del paese; era a lui che Rossoni inviava da Roma lettere e telegrammi giornalieri con informazioni dettagliatissime sul da farsi nonché le indicazioni di ciò che Frighi avrebbe dovuto trasformare in una pianta o un progetto. Non solo fece la città insomma, ma ancor prima fece i suoi progettisti. Ed ecco così che “senza” architetti nasce un gioiello d’architettura. Certo nessuno di questi edifici compare nei libri di storia, ma questo perché chi ne scrive non si è preso la briga di venirsi a fare una passeggiata quaggiù. Se le architetture in sé non sorprendono sono l’atmosfera e lo spazio a lasciare il visitatore di stucco. Una città fascista in tutto e per tutto ma che se ne dimentica, non a caso la Casa del Fascio non è nella piazza ma – molto più anonimamente – quasi invisibile lungo la via principale. Il borgo non è infatti consacrato al Duce ma ai lavoratori e così (a differenza dell’Agro Pontino) quassù niente Opera Nazionale Combattenti, qua fecero tutto Rossoni e gli operai del posto. Un impianto urbanistico elementare ma tutt’altro che casuale, due assi principali, un cardo e un decumano, rappresentati da via Roma e l’odierna via Filippo Corridoni (grande amico del giovane Rossoni). Alle estremità simbolicamente le istituzioni fondamentali per il popolo tresigallese: la GIL e la chiesa ai due estremi di una e la fabbrica e il cimitero dell’altra. Nel mezzo la grande piazza ad anfiteatro intitolata – non può essere un caso – alla Rivoluzione senza però specificare quale, se quella fascista o quella proletaria, lì non si affaccia nessun edificio istituzionale proprio a rivendicare la centralità del popolo più che dello stato. Ma non finiva qui, Rossoni aveva pensato e realizzato per i suoi concittadini un’infinità di servizi: l’asilo nido, il campo sportivo, la scuola di ricamo per le ragazze, la sala da ballo e il teatro corporativo grazie al quale dei contadini scoprirono e si appassionarono alla lirica e – non ultimo – l’edificio dei Bagni, la cui insegna oggi – in tempi di revisionismo politically correct – è stata brillantemente sostituita da quella “SOGNI”.

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Una metafisica particolare, diversa, certamente rurale ma non per questo meno suggestiva è resa ancor più unica dal fatto che negli anni ben poco sia cambiato. Non come all’Eur per intenderci, quartiere in realtà costruito quasi esclusivamente nel dopoguerra sfruttando il progetto  piacentiniano, qua nel ‘39 era già tutto in piedi. Va in questo senso ricordato che il Ministro  chiamò a Tresigallo, oltre i suoi due fidati amici, un discreto numero di giovani talentuosi che poi, di lì a poco, si faranno strada. Tra loro vale la pena ricordarne almeno tre: il fiorentino Pietro Porcinai, incaricato di disegnare il giardino di villa Barillari, che poi diventerà uno dei più importanti architetti del verde del secolo scorso, il giovane ingegner Giorgio Baroni, uno che proprio qui inventò le famose coperture “a ombrello” che poi – ben quindici anni dopo – saranno riprese dal famosissimo Felix Candela e il pittore-designer viareggino Umberto Bonetti. Personaggio non di poco conto quest’ultimo che dipinse svariate vedute aeree della nuova cittadina ferrarese per le quali si guadagnò grande fama oltre alla famosa maschera simbolo del carnevale di Viareggio ideata nel ‘31 e ancora oggi utilizzata. Oltre a questo poi – meno noto – è il fatto che fu lui a collaborare gomito a gomito con Curzio Malaparte nel progetto della celeberrima villa caprese erroneamente attribuita ad Alberto Libera che invece con lo scrittore litigò quasi subito senza di fatto contribuire. Rossoni si trovava ad un passo dal realizzare questo sogno, aveva conquistato persino il prestigio locale, specie da quando il Duce aveva spedito il suo acerrimo rivale Balbo in Libia. Il trasvolatore ferrarese era diventato dal ‘33 una celebrità mondiale ma per fortuna la cosa infastidiva e non poco anche Mussolini che alla prima occasione buona, in ossequio al più classico promoveatur ut amoveatur, lo nominò governatore a Tripoli, togliendoselo dai piedi. Sembrava così spianata la strada verso la realizzazione dell’utopia di Tresigallo ma poi qualcosa andò storto. Pare che Rossoni si fosse messo in testa di smantellare il latifondo siciliano e non si sa, se per invidia o paura, Mussolini defenestrò anche lui privandolo del ministero ma lasciandolo ancora come membro del Gran Consiglio, tanto era solo un titolo simbolico, non si era nemmeno mai riunita quella assemblea…

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Poi fu la guerra e l’economia del borgo – che stava giusto in quel momento decollando – si arrestò bruscamente sul nascere. Non ripartirà mai più, non con quella forza e quello slancio almeno. Rossoni sparì dalla vita pubblica fino al 25 luglio 1943 quando quel Gran Consiglio finalmente fu riunito per la prima ed ultima volta. Per parteciparvi si precipitò a Roma e votò pure l’ordine del giorno Grandi. Mussolini prometterà di fargliela pagare ma l’anguilla di Comacchio sfuggì ancora riparando in Vaticano. Nel dopoguerra non tornerà mai più a Tresigallo se non per essere tumulato nel cimitero del paese tra riconoscenza e oblio da parte dei suoi concittadini. Oggi di tutta questa storia rimane un paese ben più modesto di quello immaginato in cui solo un paio di industrie – dopo svariate e inevitabili riconversioni – cercano, faticosamente, di sopravvivere all’economia post-industriale. Ogni cosa tuttavia ancora rimanda al sogno di Rossoni, persino gli edifici, tutt’altro che magniloquenti o mastodontici, sembrano oggi troppo ambiziosi per la modestia attuale del borgo. Eppure il fascino suggestivo che queste architetture quasi irreali creano è ancora immutato e sorprende che, ad una manciata di chilometri da quella Ferrara in cui De Chirico trovò l’ispirazione per le sue Piazze d’Italia, la dimensione onirica della città esista per davvero offrendosi al visitatore come una fuga dalla realtà.

(articolo scritto da Andrea Bentivegna – foto di Andrea Bentivegna)

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